DAVID MAZZUCCHELLI (3/fine)

DAVID MAZZUCCHELLI (3/fine) e Graziano Origa nella Manhattan di dieci anni fa (1998-2008). Photos by Joe Zattere. Talking about Rubber Blanket, City of glass, The New Yorker.

"Le cose puoi farle in due modi, o inventarle o copiarle" (go)

GRAZIANO ORIGA: Nel 1991, inizi a autoprodurti con “Rubber Blanket”. Non più corpi, anatomia, figurativo, ma un
tratto grafico letterario. Hai studiato comics con “Daredevil” e ti
sei diplomato con “Batman”, e tutto questo per arrivare al sodo. Tutti chiedono il perché del radical cambiamento?                 DAVID MAZZUCCHELLI
:
Fin dall’inizio, ho sempre continuato a cercare di fare quello che
volevo io; ‘quando riuscirò a fare un lavoro superiore, lo farò’, mi
dicevo sempre. Ed ero giunto ad un punto favorevole. Avevo abbastanza
soldi forniti dal successo “Daredevil-Batman” da poter finalmente
chiudere con quel ‘passaggio’. Decido così di reinventarmi tutto quello
che, fin da ragazzo, volevo disegnare, anche se non è stato facile
togliermi le abitudini acquisite coi mainstream comics. Ricominciando
daccapo ho trovato la cosa molto eccitante, perfino il dover cambiare
le definizioni artistiche, parlare non più semplicemente di figurativo
e anatomico, ma di naïf, espressionismo, futurismo, esistenzialismo,
dadaismo ed altri termini a me più congeniali.

GRAZIANO:
E allora hai deciso di pubblicarti da solo, con l’aiuto di Richmond
Lewis, il primo numero della rivista “Rubber Blanket” e ci hai messo
dentro anche una tavola di supereroe disegnata da bambino…

DAVID:
(ride) …Avevo undici anni. Una specie di piccolo regalo, per
soddisfazione personale, visto che non ero mai riuscito a pubblicarla
da nessuna parte…

GRAZIANO:
…Può voler dire inconsciamente, il fatto di averla pubblicata in quel
#1, che finalmente ti sentivi libero di tornare dove secondo te
(l’adolescenza) avevi interrotto…

DAVID:
(ride) …Avevo il desiderio di sincerità e di semplicità, e
raccontarlo con un nuovo modo di comunicare. Ma non c’era un posto dove
inserire questo mio nuovo mondo. L’unico poteva essere “Raw”, ma
all’epoca non era ancora pronto per accogliere quello che avevo
intenzione di fare. Perciò, se volevo concretizzare il progetto di
questo nuovo tipo di comics, dovevo farlo su una rivista totalmente
mia. E non si trattava solo di un nuovo modo di concepire i fumetti, ma
anche di considerare un pubblico che li leggesse in maniera diversa.
Come dire, ricominciare da zero. Nel momento stesso in cui osservi la
copertina di “Rubber Blanket” devi per forza pensare ai comics sotto
un’altra ottica. Volevo espandermi e creare qualcosa che non doveva
allontanare il pubblico adulto ma attirarlo. Ero convinto che ci
fossero tante persone che avrebbero apprezzato un fumetto colto, anche
se si trattava di persone diffidenti nei confronti dei comics in
generale, ma che apprezzano l’arte, il disegno, la letteratura.

GRAZIANO: Per il #1 hai giocato sul tuo nome diventato celebre per “Daredevil” e “Batman”?
DAVID:
No, Graziano, assolutamente no. Volevo che “Rubber Blanket” fosse
giudicato esclusivamente per quello che era. Se lo avessi promozionato
come ‘il nuovo magazine di Mazzucchelli’ probabilmente avrei venduto
quattro volte tanto. Già, ma a che pubblico? A un pubblico che, dopo il
primo, difficilmente avrebbe acquistato il secondo.

GRAZIANO:
David, tu sei anche un
appassionato dei sistemi di stampa, litografia, offset, colori, retini…

DAVID:
Ritengo che anche il printing process faccia parte del prodotto. È
importante. Ed è da quello che deriva il nome della rivista (rubber
blanket=coperta o manto di gomma).

GRAZIANO:
Anche io, essendo un grafico da tanti anni, son
sperimentatore di colori, anche se caratterialmente preferisco la
sintesi del bianco e nero, e quando ho visto quelle tavole in bicromia
che hai fatto per i tre numeri di “Rubber Blanket” ho capito che le
avevi fatte quasi a mano, una per una…

DAVID: …Per ottenere quel risultato, doppio ma diverso, devo letteralmente disegnare due pagine per ogni pagina…
GRAZIANO: …Ti sei stampato il #1 come un novello Gutemberg. Mazzucchelli si è stampato da solo!!!
DAVID:
(risata) …Come un incisore. È una bella storia, ma c’è del vero. In
quel momento sono, in un certo senso, tornato indietro nel tempo:
quando da bambino scrivevo le mie storie, me le disegnavo, scrivevo il
lettering, impaginavo il tutto e me le rilegavo in un libretto in
brossura. C’è stato così anche un processo di apprendimento. Per
“Rubber Blanket” ho dovuto imparare nozioni di stampa, di editoria e
come preparare il prodotto per il mercato. Seguendo la preparazione
tipografica del colore, ho potuto studiarlo e controllarlo meglio.

GRAZIANO: E dall’altra parte come hanno reagito?…
DAVID: …O gli è piaciuto molto o non gli è piaciuto per niente. Non ci sono state vie di mezzo.
GRAZIANO: Raccontami del contributo che hanno dato altri artisti a “Rubber Blanket”,
come Ted Stearn e David Hornung, firme che ho letto sulla tua rivista…

DAVID:
Stearn e Hornung sono disegnatori e amici miei, però non sono
cartoonists; sono pittori, qualche volta anche scultori. David è stato
un mio insegnante quando ero alla scuola d’arte. Quando ho visto le
loro illustrazioni gli ho chiesto se volevano cimentarsi nel fumetto
d’arte e per “Rubber Blanket” hanno realizzato la prima storia a
fumetti della loro vita. Poi hanno continuato in quella strada che gli
ho aperto io.

GRAZIANO: In qualche modo la trilogia è completa. Voglio dire, uscirà mai un #4?…
DAVID:
“Rubber Blanket” #4 avrebbe dovuto essere un numero unico di 60-80
pagine, con una sola storia tutta mia, ma più pensavo a questa storia e
più diventava lunga. Alla fine il #4 era diventato una graphic novel,
un altro romanzo a fumetti, che non penso di fare.

GRAZIANO:
Nel gennaio del 1992, dopo la convention di Angoulême, Art Spiegelman
("Maus") ti ha proposto di fare “City of Glass” a fumetti, uno dei tre racconti
di “The New York Trilogy” di Paul Auster, al quale lavorava da tempo
con l’agente Bob Callahan. Eravate già amici con Spiegelman o l’avevi conosciuto in quell’occasione?…

DAVID:
…Qualche anno prima, nel 1989, quando progettavo di fare nuovi comics
di mia creazione che in seguito pubblicai su “Rubber Blanket”. Gli
avevo mandato le copie di due delle storie che stavo facendo, giusto
per mostrargliele, per fargli sapere chi ero. E lui mi aveva richiamato
dicendomi che il mio “Batman Year One” era l’unico DC Comic che aveva
comperato in dieci anni. I miei nuovi lavori gli piacquero ma al
momento non funzionò con le storie che avevo. Ne è nata comunque
un’amicizia. In seguito pubblicai da solo “Rubber Blanket”.

GRAZIANO:  Ad Angoulême lui ti ha chiesto…
DAVID:
…Ad Angoulême gli ho mostrato un lavoro che avevo appena finito e che
lui non aveva ancora visto, “Phobia”, una parodia satirica delle
‘detectives stories’ con un classico investigatore privato. Poi gli ho
lasciato le tavole anche se lui per principio non era interessato ai gialli. “Phobia” inizia come crime story ma si sviluppa come
qualcos’altro. Così lesse il fumetto e poi mi richiamò dicendo: ‘Sì,
hai ragione, sono interessato’.

GRAZIANO: …Poi arrivò la proposta di realizzare a fumetti “City of Glass”…
DAVID:
…L’idea è partita da Spiegelman e Paul Karasik. Già ad Angoulême mi
chiesero se ero interessato al progetto su cui stavano lavorando ma io,
allora, non conoscevo la trilogia dei racconti di Auster, ma pensavo
che si trattava semplicemente di un thriller e risposi che non
frequentavo il genere. ‘Leggilo, forse ti interesserà’, mi disse Art.
Non avevo mai sentito parlare di Auster prima, non conoscevo il libro
ma, tornato a New York, lo comprai, lo lessi, ne captai il feeling, e
mi sentii subito in sintonia. Mi interessava.

GRAZIANO: Cosa pensi di Karasik sceneggiatore, grafico, disegnatore …
DAVID:
…È un cartoonist che scrive e disegna. Ha avuto delle idee molto
argute riguardo la strutturazione e l’adattamento di “City of Glass”,
come prendere un romanzo e trasferirlo nel fumetto…

GRAZIANO: …Gli ha dato la struttura…
DAVID:
…Sì, la struttura. Lui ha progettato la versione a fumetti, dandogli
un senso grafico logico. Ha cominciato con un adattamento attraverso
degli story-boards. All’inizio del nostro lavoro, le sue sequenze
disegnate erano già molto avanti coi tempi ed io non riuscivo a capire
completamente quello che lui aveva in mente. Paul ha fatto un ottimo
lavoro nel decidere prima ciò che ci sarebbe servito dopo. Quando
abbiamo avuto il primo incontro con l’autore Paul Auster, vederlo dare
solo una rapida scorsa alle pagine senza fare commenti, è stato molto
gratificante.

GRAZIANO: Hai parlato con Auster durante tutta la lavorazione di “City of Glass”?…
DAVID: …Solo qualche volta…
GRAZIANO: …Voglio dire, David, che tipo di rapporto avevi deciso con lui?…
DAVID: …Amicizia di lavoro.
GRAZIANO: Hai considerato amico di lavoro Art Spiegelman, ma tu, mi sembra, ti senti lontano anche da lui. E con Karasik?…
DAVID: Lui è stato abbinato ad Spiegelman per parecchi anni, attraverso  “Raw” ed anche prima, credo.
GRAZIANO:
Hai un’idea delle persone che ti piacciono più dal punto di vista umano
che dal punto di vista artistico? Chi è la gente per te?  Chi sono gli
amici e chi sono gli amici di lavoro?…

DAVID:
(riflessivo) …Da un lato posso dire di avere molti amici, dall’altro
pochi, nel senso di amici intimi. Conosco molti redattori e cartoonists
e vado d’accordo con loro, lavorando in perfetta sintonia per
l’illustrazione, la progettazione e l’arte. Sono pochi quelli con cui
ho un rapporto, come dire, personale…

GRAZIANO: …Anche io conosco tutti!…
DAVID: (ride)…
GRAZIANO:
(pausa. Squilla il telefono e David risponde che ha appena iniziato e
che poi comunque sarebbe uscito con me e il Joe a cena) Parliamo della struttura
di Karasik per “City of Glass” e della tua composizione. Si trattava di
costruire una salda impalcatura che si prestasse ad essere sviluppata
in molte direzioni?…

DAVID:
…La mia idea iniziale, devo dirlo, era piuttosto confusa. Avevo letto
il libro e stavo pensando come focalizzarlo (focus on). Cercavo il lato
umano della storia per tirarlo fuori attraverso i primi schizzi.
Karasik, molto spesso, mi ripeteva le varie situazioni che si
fondevano. Io ho creato di volta in volta una sequenza di tavole,
lavorando come si lavora con una macchina da presa, facendo degli zoom
per spiegare meglio le ‘trasformazioni’. L’idea iniziale di Karasik era
di formare una griglia fissa di nove vignette. Lavorando per la seconda
volta sui suoi story-boards, per ragioni di riadattamento, ho tenuto la
struttura a nove vignette ma l’ho aperta cancellando la griglia per una
migliore leggibilità e comprensione da parte del lettore. Inquadrando,
per esempio, più da vicino un telefono, rileviamo dei particolari. Nel
contempo il testo ci dice che le cose sono però diverse.

GRAZIANO: (apro l’edizione italiana di “City of Glass” che mi sono portato dall’Italia) Qui
ti riferisci alla prima tavola, no, anzi, alla seconda, perchè la prima
è nera con sù scritto in negativo: «Tutto cominciò con un numero
sbagliato»

DAVID: …Sì, ecco, ci siamo. In questa sequenza blow-up, grazie a una zummata …Ecco, un semplice squillo di telefono che però ti fa intuire subito
il modo in cui voglio che il lettore lo colga, lentamente, realizzando
allo stesso tempo l’atmosfera della stanza, il tipo di telefono, il
tipo di squillo, il tipo di persona che sta andando a rispondere. E in
questi pochi secondi anche la possibilità che lo squillo e il telefono
siano immaginari, siano semplicemente un fatto grafico, un logo, sulla
copertina delle Yellow Pages sul tavolo.

GRAZIANO: Possiamo dire che è Auster quello che racconta la storia nelle didascalie?…
DAVID: …Possiamo dire di no. Ma la tua domanda è interessante, anche perché viene da chiedersi allora chi è il narratore…
GRAZIANO:
…Allo stesso tempo è chiaro, ma non lo è. Allora, (A) Auster parla e
dice che (B) Daniel Quinn, vedovo di moglie e figlio, scrive romanzi
noir con lo pseudonimo (C) William Wilson, storie che hanno per
protagonista l’eroe (D) Max Work…

DAVID: …Sì, ci sono tre possibilità…
GRAZIANO: …Sono tre o quattro, voglio dire, poco importa visto che questa lettura si ripete anche in ogni situazione presentata…
DAVID:
…In questa tavola 2 e nella 4 è lo stesso Paul Auster dentro la
storia, oltre a questo, molto più avanti nel libro, la vicenda passa in
mano direttamente a Daniel Quinn. Ad un certo momento la voce del
narratore cambia un poco perché cita qualcosa… Quando Quinn incontra
Auster c’è qualcosa nel testo che cambia, e noi mostriamo quella voce,
quando Quinn esce ma torna indietro (tavola 12). Le voci dei narratori
si separano ancora. Quando Quinn incontra Auster la voce tende a… E noi
mostriamo quella voce quando Quinn è seduto fuori dall’edificio di
Virginia Stillman ad aspettare ore, giorni, mesi, anni…

GRAZIANO:
Sembra che sia sempre lo stesso narratore (A), ma all’improvviso il
narratore diventa (B), forse (C), talvolta sembra (D). Del resto tutte
le storie che Auster ha scritto, per sua stessa ammissione, sia sotto
forma di romanzo che di sceneggiatura, sono sempre contrassegnate da
una sorta di follia intellettuale, di dissociazione mentale e fisica…
Come è scritto anche nel fumetto, ‘Tutti i luoghi sono uguali’, oppure
‘la sensazione di non essere in nessun luogo’…

DAVID:
Sì, Auster pensa che sia la Storia stessa a decidere, che sia la storia
a dettare. Per esempio, come e che cosa dettare quando si vuol creare
un avvenimento che crei un effetto. Così, alla fine del libro, ti devi
chiedere veramente ‘chi?’, perché il narratore cita se stesso
definendosi ‘io’, in prima persona: alla fine del libro il narratore
dice ‘io’ quando parla di Auster.
Paul mi disse, a proposito di questo punto, che è lui che critica se stesso, il suo comportamento.
Auster ti fa meravigliare su come puoi fidarti e credere alle persone
che narrano.

GRAZIANO:
La tavola di “City of Glass” che amo, oltre naturalmente alla 7 in
cui Quinn aspetta seduto l’arrivo del vecchio Stillman davanti alla
casa di Virginia, è la 116, dove Quinn – ormai in delirio, stanco e
sporco come un barbone – si lascia andare ad un lungo sonno nel prato
di Central Park, all’altezza della 96esima street, tra l’altro
esattamente qui di fronte a casa tua. Non mi riferisco alla storia ma
al modo in cui l’hai risolta graficamente, non più una NY riprodotta in
maniera cruda e realistica ma un’oasi di spazio e silenzio, di fruscii
di foglie e di scoiattoli, di leggera brezza pomeridiana, di grandi
alberi amici che dispensano ombra e sonno.

DAVID: Tutto è intenzionale e nulla è casuale in “City of Glass”.
GRAZIANO: Non la definirei mai una crime story…
DAVID:
…È la storia di un mistero, quella della identità. Di una identità
che cambia. E questo lo noti quando vedi il vero Paul Auster, nella
prima vignetta di pagina 88, con la penna in mano. Io ho letto l’intera
sua trilogia in una volta sola proprio per entrare in quella lunghezza
d’onda, per capire a fondo dove stavo andando, mentre m’imbarcavo in
quest’avventura della mente.

GRAZIANO:
Nella penultima vignetta di pagina 7 sembra che, tu o Auster, abbiate
voluto creare un momento di riflessione, un flash di rimando, quasi un
suggerimento: ‘Il centro del libro si sposta con il lettore’…

DAVID:
…Perfetto, hai scoperto un segreto. Nelle pagine 32-33, quando si
racconta del giovane Peter Stillman, Quinn ricorda le storie penose di
tutti quei bambini cresciuti in maniera selvatica, abbandonati,
maltrattati come Kaspar Hauser, e di come queste storie lo abbiano
sempre emozionato. Quando vediamo qui i volti disperati di questi
bambini, capiamo anche il perché della scomparsa di Peter a pagina 7.

GRAZIANO:
Da dire anche che Peter non è solo il nome del ragazzino Stillman di
cui si sta occupando, ma anche quello del figlio morto di Quinn…

DAVID:
Il libro di Auster si basa molto sul linguaggio e sulla sua struttura,
la natura che cambia e che si sposta, il mutamento e l’immedesimazione
in altre identità. In questo stava veramente la sfida: trovare una
maniera visiva di esprimere questi sentimenti. Non puoi solo disegnare
tale e quale una sceneggiatura quando fai un adattamento da un romanzo
così letterario. Adattamento per me significa reinterpretazione,
ottimizzazione, sintesi, anche a costo di parlare d’altro per arrivare
a farlo…

GRAZIANO: In quanto tempo hai realizzato le 138 tavole di “City of Glass”?…
DAVID: …Nell’insieme, un anno. Ma contemporaneamente ho continuato a fare delle illustrazioni per varie riviste…
GRAZIANO: Gli originali sono molto più grandi dello stampato?…
DAVID: …No, poco più. Mi piace lavorare in piccolo.
GRAZIANO: Un giorno facevi una pagina, un altro tre…
DAVID:
…Più o meno, come media. Tutto era nella mia matita che scorreva e
lavorando, pagina dopo pagina, cercavo di dare consistenza al
significato delle parole del libro. Volevo anche fare dei cambiamenti,
ogni tanto, quindi tornavo sui miei passi, rivedevo…

GRAZIANO: Ti piace usare i balloon o preferisci le vignette con didascalie?…
DAVID:
…Gli elementi caratteristici del fumetto, vanno tutti bene per me.
Dipende da cosa voglio raccontare. La narrazione didascalica ti fa
sentire più distante, quella con i balloon è più immediata… 

GRAZIANO: …Mi sembra una lezione di “Sequential Art”. Sei come Will Eisner, solo che non sei il tipo di insegnante di figura…
DAVID: …Anch’io insegno…
GRAZIANO: Insegni fumetto anche tu? Oh, non credevo che tu fossi quel tipo d’artista…
DAVID: (ride) …Insegno in una scuola del Rhode Island. Una volta la settimana.
GRAZIANO: “City of Glass”, in certi punti, sembra effettivamente un trattato didattico…
DAVID:
…È curioso come questo libro, in America, sia stato distribuito
dall’editore insieme ad un altro intitolato “Understanding Comics” di
Scott McCloud. Mentre ci stavamo lavorando, lo abbiamo anche
considerato come qualcosa che integrasse in anticipo quello didattico
di McCloud.

GRAZIANO:
A differenza dei manuali pratici “Confidential Art” di Eisner e
“Understanding Comics” di McCloud, qui è contemplata letteratura, arte,
filosofia, razzismo, decandenza fisica e… La stessa Esistenza…

DAVID:
…Noi, il libro, l’abbiamo anche realizzato per un pubblico potenziale
non abituato a leggere fumetti, attraverso un processo grafico in cui
far avvicinare il lettore a una storia disegnata come fosse un normale
libro scritto.

GRAZIANO: Da qualche tempo, così come Burns, Mattotti, Levine, Spiegelman, Blitt, lavori per il settimanale "The New Yorker"…
DAVID: …"The New Yorker"
lo considero per metà lavoro, giusto per i soldi, e per metà un
laboratorio, una palestra dove poter fare degli esperimenti. Ho un buon
rapporto con gli art directors dello staff. Quando mi assegnano una
illustrazione o una cover, qualche volta non sanno esattamente neanche
che cosa gli consegnerò. Loro hanno fiducia in me.

GRAZIANO: Certo, si lavora sempre bene direttori e redattori visionari e possibilisti…
DAVID:
Se osservi tutte le mie illustrazioni pubblicate sul “The New Yorker”,
alcune sembrano molto diverse le une dalle altre, eppure le hanno
sempre accettate come valide e compatibili con le loro esigenze
editoriali. Anche quando mi sono permesso esperimenti di colore, di
composizione, di interpretazione, tipo quella serie che ho fatto per la
pagina dei bar etnici con musiche sempre diverse, new age, hip-hop,
rock.

GRAZIANO: Tu scrivi musica, vero? Io lo so.
DAVID: Sì, rock, con un gruppo di amici. Cercavo di ricavarne dei soldi. Penso di aver scritto almeno tre canzoni discrete.
GRAZIANO:
Oltre a quelli del gruppo editoriale di “The New Yorker”, anche altre
redazioni hanno fiducia in te nello stesso modo? Tipo il “Village
Voice”?…

DAVID:
No, il “The New Yorker” è unico. Per il “Village Voice” ho fatto un
fumetto; cercavano strips fatte apposta per un certo tipo di musica.
Loro conoscevano il mio lavoro e così mi hanno chiamato.

GRAZIANO: Come nel caso di “Esquire”?
DAVID: Sì, per loro ho disegnato una
tavola, chiamata "Adversaria" quando dedicavano l’ultima pagina della
rivista a un comic strip di satira sociale contemporanea realizzata
volta per volta da artisti differenti.

GRAZIANO: (saliamo su un taxi per andare a cena giù in Greenwich Village) Prendi il taxi spesso?…
DAVID: …Di solito vado con la metropolitana. Se non c’è molto traffico, però, il taxi può andare molto in fretta…
GRAZIANO:
…Ed è economico. A fine corsa, sù e giù per Broadway, pago sempre 5
dollari, invece a Milano pago 5 dollari quando chiedo se è libero.

DAVID:
Nei giorni scorsi qui a New York ci sono state sia Halloween che la
Marathon, le hai viste? Una volta le seguivo, ora le feste non mi
piacciono più tanto…

GRAZIANO:
…Io sono il tipo, invece, di quelli che le parade non se le perde,
voglio dire, quelle americane. Per la Maratona di quest’anno sono
arrivato in ritardo per vederla partire dal Verrazzano Bridge, così
quattro ore dopo sono andato direttamente a Manhattan, a Columbus
Circle di Central Park, e li ho visti arrivare uno per uno, ed è sempre
gloriosa questa fatica finale dove, nei volti di ciascuno, leggi
motivazioni personali e etniche diverse per vincere. Per la parade di
Halloween, al Village, sono arrivato in tempo ma uno mi ha guardato e ha detto: troppo tardi, amico!

DAVID: A me piacerebbe vivere a West Village, ma invece abito nell’Upper West. 
GRAZIANO: (col taxi attraversiamo Times Square) Guarda, David, poliziotti a cavallo nella New 42th Street di Walt Disney…
DAVID: …Ora a NY ci sono anche gli agenti in bicicletta e presto penso che arriveranno le pattuglie sui pattini a rotelle…
GRAZIANO: …E quanti poliziotti ci saranno, tra uomini e donne, a NY?…
DAVID: …Non lo so e non so neppure quanti cavalli abbiano in tutto.
GRAZIANO:
(a cena al Grove Street Restaurant, Joe ordina cakes di polenta, zuppa
di aragosta e corn, filetto au poivre, T-bone steak, del Gavi bianco
per me e per lui, e un bicchierone di Pinot Nero per David) Hai
ordinato mozzarella and peppers e ravioli ai funghi col pesto e questo
vuol dire…

DAVID: …Che sono vegetariano.
GRAZIANO: Anche in Italia lo eri?…
DAVID: …Dappertutto. Ma in Italia è più facile esserlo per me che mangio pasta, formaggi, qualche volta uova.
GRAZIANO: Da quanto tempo sei vegetariano?…
DAVID: …Da una decina d’anni.
GRAZIANO: Hai deciso da solo o lo hai copiato?…
DAVID:
Ti racconto. Da bambino avevo delle allergie a diversi cibi. Mi
facevano mangiare carne ma io non volevo. Quando sono guarito, sono
diventato vegetariano.
Però si mangia meglio in Italia…
GRAZIANO:
…Qui a NY i nomi dei prodotti italiani  hanno doppie e finali
cambiati; lasagni, pomoddoro, cacciotti, uovi di giornati, spaghetta al
fresco. L’ultima cosa strana che ho visto, era in TV, il lancio di un
ragù col nome Prego e un vino toscano di nome Ecco Domani. E adoro la vostra passione per gli acronimi tipo BBQ, BLT, 4U.

DAVID:
Da un po’ di tempo abbiamo in America anche l’espresso all’italiana e
non solo il caffè all’americana. Io non lo bevo, però prendo il
cappuccino, qualche volta…

GRAZIANO:
…Fino a qualche anno fa si usava ancora la parola Milk, ma adesso
pronunciano la parola ‘latte’, di punto in bianco, e chissà a chi è
venuta in mente. I neri dicono Can I have Latte? Latte come Pasta, Pizza, Ciao, Cumpà.

DAVID: …A Roma, la domenica, quei piccoli mercatini rionali… Che bel ricordo, non riesco a dimenticarli!
GRAZIANO:
A NY, la domenica mattina vado a Seaport a mangiare orientale al molo
17, oppure a Chinatown, giù in Lower East Side, a comprare rotoloni
larghi di scotch per legare qualcuno la notte. Il lunedì, come uno studente porto in giro i
miei disegni a pennino che riesco a vendere con molta facilità ai
mille magazines di Manhattan, e con tanti complimenti, da "Screw" a "Style"…

DAVID: (pausa-silenzio di fine cena) In
questi giorni, sto tentando di leggere un libro di Thomas Pincheon. Ma
non ho molto tempo a disposizione. È un libro molto grosso, fitto
fitto, e avrei bisogno di tempo per concentrarmi. Leggo solo una pagina
al giorno, procedo lentamente. Mi sembra di essere sempre all’inizio.

GRAZIANO: Vuoi iniziare un nuovo fumetto, stasera? Ti viene in mente niente?…
DAVID: No, niente.

Mazzucchelli & Origa (FINE)

IMAGES CREDITS:

RUBBER BLANKET (cover n. 2, 1991)

DAVID MAZZUCCHELLI, New York, 1998 (photo by Joe Zattere)

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