DAVID MAZZUCCHELLI (2)

 DAVID MAZZUCCHELLI (2) e Graziano Origa nella Manhattan di dieci anni fa (1998-2008). Photos by Joe Zattere. Talking about mainstream comics, italian cartoonists and manga. And Rubber Blanket. 

"Talvolta, gli eroi non sono i personaggi ma gli autori" (go)

GRAZIANO ORIGA: Io sono nato in novembre del 1952…
DAVID MAZZUCCHELLI: …Io qualche anno dopo. 1960.

GRAZIANO: A New York o in New Jersey?
DAVID: No, nel Rhode Island, il più piccolo Stato degli USA. Sei mai stato nel Rhode Island?
GRAZIANONon credo. Dieci anni fa – nel 1986 quando con il Joe abitavamo in Christopher Street – tra una domenica e l’altra in Central Park,
volevo spingermi a Cape Cod, dopo che avevo letto “Tough Guys Don’t Dance”
di Mailer. Cerco di andare sempre nei posti dove sono ambientati
i romanzi… Mi è successo con Koh Samui, Key West, Berlino,
Copacabana. Fino a quando hai vissuto nel Rhode Island?

DAVID: Fino ai 23 anni. Poi sono andato al college, dopo la Rhode Island School of Design.
GRAZIANO: David, i tuoi genitori sono italiani?
DAVID:
Entrambi, ma sono nati in America. I miei nonni erano italiani e quindi
entrambi i rami della mia famiglia vengono dall’Italia.

GRAZIANO: Quando hai disegnato per la prima volta?
DAVID:
All’età di tre o quattro anni. Lo sai, disegnamo tutti quando siamo
bimbi. Molti continuano a farlo anche a sette o dieci anni, altri a
sette o dieci non ricordano neanche di aver disegnato a tre. Io ho
continuato.

GRAZIANO: Quando eri studente eri il tipo di ragazzo curioso di tutto?
DAVID:
Sì, assolutamente, ma filtravo le emozioni invece di sperimentarle. Per
quanto riguarda i fumetti, ho sempre avuto l’idea di lavorarci. Certo,
magari in certi periodi non mi sono dedicato solo a quello, ho fatto
altro, però penso di non essere stato io a scegliere i comics ma i
comics ad avere scelto me.

GRAZIANO: Prima di “Daredevil” ti è stato difficile trovare lavoro?
DAVID: Ho fatto tre o quattro storie brevi per la Marvel e per la DC, solo matite…
GRAZIANO: …Nel 1984, fu Louise Simonson che ti chiamò per “Daredevil”? Te lo chiedo più che altro per farti ridere. Quando vivevo qui è capitato di avere bisogno di 300 dollari in giornata prima del tramonto. Faccio uno dei miei ‘lunghissimi’ graphic-story di una tavola, dove racconto in dieci quadri di un donnone di 150 chili, mi sembra tutta nuda. Vado in Avenue of Americans a proporlo a "Heavy Metal" e mi riceve lei che era un donnone di 150 chili. Non può dirmi che non gli piace perché io potrei pensare che è per il fatto che sembra una storia con lei protagonista. Mi dice "Terrific!" e mi chiede se 300 dollari vanno bene…
DAVID:
Lei era la redattrice di varie testate, per esempio di “Star Wars”, di
cui mi affidò un numero (solo matite). Mi diede il mio primo lavoro
alla Marvel, ma non era la redattrice di “Daredevil”. Il numero in cui
sono apparse per la prima volta le mie matite è il 206 (in USA). Quel
numero fu una specie di test, visto che cercavano nuovi disegnatori.
Dal 208 in poi ci ho lavorato quasi regolarmente, poi “Born Again” dal
#227 fino al #233, cioè fino a quando ho collaborato con Frank Miller.

GRAZIANO: Ho conosciuto Miller personalmente, alla San Diego
ComicCon del 1992, un attimo prima della sua plateale sfuriata-arringa contro la Marvel a proposito dello
‘sfruttamento’ di Jack Kirby, che era lì per un premio – sai – alla
carriera, pochi mesi prima che il padre di tutti i matitisti lo richiamasse a sè…

DAVID:
Miller è un autore che mi aveva sempre interessato, fin da quando ero
al college. Il mio compagno di stanza comperava “Daredevil” e io lo
leggevo. Mi dicevo: ‘Mica male questo!’. C’erano anche altre
pubblicazioni, soprattutto le novità della DC, che m’interessavano.
Quando mi diedero da fare “Daredevil”, ed erano già un paio d’anni che
Frank aveva smesso, esitavo per paura del confronto, ma poi ho fatto un
buon lavoro. In seguito, quando Dennis O’Neil fu licenziato come
sceneggiatore e Ralph Macchio chiamò Frank, ho avuto modo d’incontrarlo
e ricordo che fece qualche piccola critica sui miei disegni. All’epoca
io vivevo a New York e lui in California, ma conosceva il mio nome.
Fu un momento di collaborazione molto interessante per me, più che
altro per una sorta di sfida reciproca; ricordo che cercavamo
continuamente di stupirci a vicenda, lui con la sceneggiatura, io con
le inquadrature delle vignette.

GRAZIANO:
“Batman Year One” per la DC, un personaggio che seguivi in
TV quando avevi dieci anni, poi lo hai disegnato a 27, nel 1987.
..
DAVID:
Terminate le storie di “Daredevil” che volevamo raccontare, Frank
disse: ‘Ho una certa idea riguardo “Batman” e vorrei lavorarci’.
Anch’io avevo fatto “Daredevil” per due anni, e allora era il momento
giusto anche per me smettere.

GRAZIANO: Quante tavole hai prodotto del tuo “Batman” per la DC Comics?…
DAVID: …Erano comic book di 22 pagine ciascuno.
GRAZIANO: E quanti ne hai disegnati?
DAVID:
Quattro, ma la storia era stata concepita come graphic novel.
All’inizio erano stati progettati in chiave di miniserie come “Dark
Night”, ma poi hanno pensato di pubblicarli nel formato regolare da
comic book. Comunque io, mentre lo realizzavo, ho sempre avuto in mente
la versione graphic novel.

GRAZIANO: Stai forse cercando di dirmi che in definitiva non ti piacciono i comic books?
DAVID:
(sorride) Mi piacciono per alcune cose. Per esempio lo stile da
striscia quotidiana, la carta ruvida economica, il retino della
quadricromia bello grosso.

GRAZIANO:
Dopo “Batman” c’è “Angel Story”, 14 tavole per la Marvel, su
sceneggiatura di Anne Nocenti. Te l’ha proposta l’editor Archie
Goodwin? Che anno era?…

DAVID: …Mi sembra 1987. Di sicuro l’ho disegnato anche quello nel 1987, ma la DC può averlo pubblicato l’anno seguente...
GRAZIANO: Come possiamo ‘ricordare’ Archie Goodwin (1937-1998)…
DAVID:
(lunga pausa) Lo conoscevo solo per lavoro, ci avevo parlato spesso
assieme, abbiamo anche conversato seriamente, ma il rapporto s’era
fermato lì.

GRAZIANO: Era famoso quanto Stan Lee? Voglio dire, qui negli USA veniva considerato un riferimento?…
DAVID:
…No, non come Stan Lee, no. Era conosciuto dagli addetti ai lavori e
tutti, nel settore, lo rispettavano. Uno che vedeva le cose nel verso
giusto e aveva quasi sempre ragione. Goodwin era un buon sceneggiatore, capiva
l’arte e capiva come dovevano essere fatti i comics popolari e questo
fece di lui un bravo redattore.

GRAZIANO:
Io lo seguo fin da quando lavorava a "Mad" con Harvey Kurtzman (1924-1993) e credo di aver
letto tutte le sue storie per i mensile horror della Warren, ma lo ho
sempre considerato un professionista ‘tradizionale’ che avrebbe potuto rischiare maggiormente nel fumetto sperimentale.

DAVID:
Era in grado di fare entrambe le cose, sia il commerciale che altro;
sapeva riconoscere, in ogni genere, quel che c’era di valido. Sapeva
anche capire ciò che effettivamente era di qualità, ma che non si
sarebbe venduto, e la cosiddetta ‘robaccia’ che però era miliardaria. E
la cosa – ricordo – gli dispiaceva perfino.

GRAZIANO: Archie Goodwin dice su "The Comics Journal" che il suo desiderio era di disegnare invece che di scrivere.
DAVID:
(guardiamo insieme riviste amatoriali italiane) Mi entusiasma sempre scoprire qualcosa di nuovo. La prima volta che ho
visto i fumetti europei è stato molto appassionante perché erano così
diversi da quelli Usa.

GRAZIANO: So che era il 1992 e che non era il tuo primo viaggio nel ‘vecchio mondo’…
DAVID:
…Vero. Avevo viaggiato in Europa anche prima, nel 1989. E ancora
prima, verso la metà degli Anni Ottanta, quando ho scoperto i fumetti
spagnoli. Al momento non li capivo perché la mia mente era abituata al
genere americano, ma quando ho cominciato a vederne di più,
specialmente quelli dei disegnatori italiani, Lorenzo Mattotti per esempio, o
il tedesco Christian Gorny, e anche lo svizzero Thomas Ott, ho capito
che non ero isolato nella mia ricerca.

GRAZIANO: Quando hai visitato l’Italia, per la prima volta?…
DAVID:
…Tra il 1984  e il 1985, per sei mesi. Fu allora che acquistai un
libro di Dino Battaglia, con la storia “La Mummia”, del suo “Ispettore
Coke”, che in seguito ha avuto una forte influenza sul mio lavoro.
Quando cominciai a scoprire i comics americani di genere underground,
come il magazine “Raw” di Art Spiegelman, la cosa mi emozionò maledettamente e la stessa sensazione
l’ho provata quando ho scoperto il fumetto giapponese.

GRAZIANO: Quindi tu hai visto “La Mummia” di Battaglia, nel 1984, e dopo averlo visto non eri più lo stesso…
DAVID: …Hai presente il mio episodio di “Daredevil” intitolato “Fog”? Lì mi sono servito della grande lezione di Battaglia.
GRAZIANO: In quello stesso primo viaggio, magari, hai scoperto anche Hugo Pratt?…
DAVID: …Certo. Anche lui.
GRAZIANO: E Mattotti?…
DAVID: …Mattotti nel 1989, con la sua travolgente opera “Fuochi”.
GRAZIANO: Qualche altro?…
DAVID: …Direi Milo Manara e Guido Crepax…
GRAZIANO: …Dire Manara è come dire Walt Disney…
DAVID: (ride) Esatto. Per me Crepax risulta più interessante.
GRAZIANO: Beh, David, ti capisco, il tuo repertorio, anche se non è di genere erotico, ha qualcosa a che fare con i tempi lunghi della contemplazione…
DAVID:
…Crepax è speciale per me. Le sue linee grafiche molto
delicate, i suoi temi segreti ma allo stesso tempo colti…

GRAZIANO: Crepax è appagante e non è rischioso. Manara, sembra solo erotico, ma è questo che lui vuole. Mi viene da pensare che Milo sia conosciuto in tutto il mondo, perché è ateo, e incita i timorosi a essere liberi e tavolta esagerati anche nell’amore. Un vero anarchico, integro e crudo. Il resto è lavoro…
DAVID: (David non risponde e guarda il suo gatto Jersey).
GRAZIANO: Dopo l’Italia sei stato in Giappone…
DAVID:
…Aspetta Graziano, volevo dire ancora che in quegli anni, in Italia ho conosciuto
appunto Mattotti e, a Grenoble, Igort di Valvoline, e poi Stefano
Ricci. Un artista che mi piace molto è Franco Matticchio: favoloso!

GRAZIANO: Quali città hai visto dell’Italia?
DAVID:
Molte. La maggior parte del tempo l’ho trascorso a Firenze e poi il
resto a Milano, Venezia, Siena, Udine, Padova dove ci sono gli
affreschi di Piero della Francesca e quelli di Giotto alla Cappella
degli Scrovegni. Poi sono stato a Pompei, dove ricordo la Camera dei
Misteri, poi, Pisa…

GRAZIANO: …Roma?
DAVID:
Fantastica. Perché mentre Firenze è Rinascimento, Roma è Storia; ci
sono a portata di mano venti secoli da ammirare, condensati in una sola
città.

GRAZIANO: Hai visto il Papa al balcone?…
DAVID: …Ho visto il balcone…
GRAZIANO: Non hai mai disegnato Roma, per esempio la Cupola di San Pietro, il Colosseo…
DAVID: Ho fatto qualche sketch…
GRAZIANO: E Firenze?…
DAVID:
Bellissima, mi è piaciuta molto, e in quell’occasione ho pensato anche
di viverci, ma ero troppo giovane. Avevo molte ambizioni, volevo fare troppe cose…

GRAZIANO: Che cosa ricordi ancora delle tue ‘stanze con vista’ italiane?…
DAVID:
…Che avevo molte amicizie, che la gente era molto calda nei miei
confronti. Ero sorpreso di quante persone, in occasione del Salone di
Lucca del 1992, si interessavano a me. Mi ricordo di alcuni ‘fanzinari’
che mi trattarono come un divo del cinema, anche se nessuno di loro
aveva mai visto “Rubber Blanket”. Così un giorno diedi una copia a uno
di loro e due giorni dopo mi fecero un’intervista. Mi dissero che erano
storie molto intelligenti, forse troppo, e mi chiesero il significato
di molte cose contenute nelle mie vignette. Rimasi molto impressionato,
da quelle domande così profonde e analitiche, perché in America è raro
che te le chiedano o che ricevi tali apprezzamenti motivati.

GRAZIANO: Da dire che gli italiani sono portatori sani di qualunque argomento valido per convegni, tavole rotonde, conferenze, balletti e girotondi. Non tende a contenere l’idea crescendola nell’intimo ma ad allargarla sonoramente. Mai ‘superfici’ introspettive ma ‘scavi’ cazzeggianti in lunghezza e profondità,
talvolta anche su cose chiarissime e semplici… io sono italiano ma sardinian nativo…

DAVID:
…Sì, comunque mi hanno fatto sentire molto apprezzato perché, quando
realizzo una storia, ci metto dentro un sacco di cose e mi fa piacere
che il lettore le cerchi e le scopra.

GRAZIANO: Quando pensi di tornare in Italia?…
DAVID:
…Presto, penso d’incontrare un editore italiano per “Rubber Blanket”.
Un paio di mie storie sono state pubblicate su “Mano” di Ricci, ma non
erano tratte da “Rubber Blanket”. Non riesco a trovare nessuno perché
sono materiali troppo costosi a causa del mio tipo di trattamento
colore.

GRAZIANO: E Daniele Brolli, che ha voluto l’edizione italiana di “City of Glass”, lo hai mai incontrato?…
DAVID: Sì, anche lui a Lucca, sempre l’anno in cui il Salone mi invitò.
GRAZIANO:
Beh, Daniele potrebbe essere l’editore giusto per “Rubber Blanket”. La
sua casa editrice Phoenix Enterprises stampa delle cose in tiratura così limitata che non ne invia una copia
neanche a me che in questo periodo faccio un magazine sui fumetti; o forse è perché non sono abbastanza intelligente per
capirle. Ma sto studiando…

DAVID:
Quando ero a Lucca, nel 1992, ho incontrato Pierre-Alain Szigeti, un
francese che lavorava per l’editore Albin Michel. Era anche un
redattore del gruppo nipponico Kodansha e cercava cartoonists non
giapponesi da pubblicare. Vide “Rubber Blanket” e il lavoro che stavo
facendo. Non conosceva né “Daredevil” né “Batman”. Parlando, mi chiese
se volevo lavorare per il suo gruppo. La cosa mi interessava, pur non
conoscendo i fumetti giapponesi. Mi disse che erano i più grossi
produttori del Mondo. Aveva anche un programma ‘teleship’ residenziale;
ti ospitano tre mesi per studiare i manga. Mi consigliò di fare una
richiesta alla Kodansha…

GRAZIANO:  …E così ti sei ritrovato in Giappone…
DAVID:
…A Tokyo, per tre mesi. In quel momento mi interessava molto sapere
tutto sui manga, anche se, in un certo senso, il linguaggio dei comics
è uguale ovunque, mentre per altri versi è il fumetto a variare a
seconda delle nazioni. Tutti trattano un certo tipo di storie, ma
quando entri nei particolari ci sono diversi modi di realizzarle. E la
grafica giapponese si distingue proprio per un suo modo di ‘vedere’ le
cose, di narrarle; la stessa inquadratura è intuita in maniera
differente. Il ‘punto di vista’ di chi narra la storia è diverso da
quello occidentale; nei fumetti giapponesi il ‘punto di vista’ è spesso
molto più soggettivo che altrove e lo stile stesso del disegno riflette
più lo stato d’animo dell’autore che lo crea che il personaggio, quasi
fosse un sogno e, si sà, i sogni sono cosa personale. In una storia, le
cose strane che avvengono diventano simboliche e il lettore non perde
il senso della narrazione; se accade qualcosa di strano il lettore
realizza che si tratta di ciò che l’autore in prima persona ha
sognato…

GRAZIANO:
…E i sogni variano da artista ad artista, anche se sò di un sogno
ballerino che passa da uno all’altro, così finisce che tanti
disegnatori fanno lo stesso sogno…

DAVID:
In Giappone  esistono, oltre ai manga a grande tiratura, anche quelli
underground, che sono quelli che io ho scoperto e a cui mi sono
dedicato. E Sono molto diversi da quelli commerciali. Inoltre ci sono
molti autori che, dopo aver iniziato con l’underground, sono diventati
via via sempre più popolari. Magari in patria sono molto celebri, ma
fuori dal Giappone, e in Europa, sono assolutamente sconosciuti e
impubblicati.

GRAZIANO: Non sono mai stato né in Cina né in Giappone. Come sono gli orientali, dolci?…
DAVID: …Dolci? No. Direi emotivi, molto emotivi…
GRAZIANO: …Diciamo che gli italiani – soprattutto i sardi – sono passionali e polemici ma sono anche dolci…
DAVID:
I giapponesi sono un mondo a parte. La metropolitana di Tokyo chiude
prestissimo, così alla domenica, dalle due alle cinque del mattino,
vedi migliaia di persone uscite dai locali che aspettano la riapertura
mezzo addormentati, sdraiati, appoggiati, seduti nei posti più
impensabili.
Quando sono arrivato a Tokyo, fin dal giorno dopo mi
sono presentato agli studi della Kodansha alle nove del mattino, ma non
c’era nessuno, solo segretarie che telefonavano, impiegati che
fotocopiavano e roba del genere. Nessun creativo era ancora arrivato.
Solo dopo le quindici si è visto qualcuno, e verso le diciassette,
quando segretarie e impiegati si preparavano ad andar via, i
disegnatori, gli scrittori, i redattori, i pittori e tutti gli altri
creativi sono arrivati in massa per stare tutta la notte. Ecco,
questo ti può dare un’idea del Giappone…

Mazzucchelli_by_joe_1

IMAGES CREDITS:

RUBBER BLANKET (n. 1, 1991)

DAVID MAZZUCCHELLI, New York, 1998 (photo by Joe Zattere)

Mazzucchelli & Origa