Giacomo Ghellini, with Graziano Origa (photo by Joe Zattere).
Y AHORA NO CAMINO VUELO
Y AHORA NO CAMINO VUELO PORQUE ME GUSTA VOLAR
PORQUE ME GUSTA VOLAR
MIS PIES SON UN PAR DE ALAS
GIACOMO GHELLINI lo guardo correre da sei mesi nella stradina davanti a casa mia, dove mi siedo ogni ora a respirar fuori. Guardo lui e guardo dietro di lui il grande campo seminato di pannocchie. Ora, da qualche giorno non lo guardo ma lo vedo, mirandolo. Corre e suda, a petto nudo, sfidando il cerchio nodoso di bosco. E corre così veloce che – quando alzo gli occhi – non rimangono altro che le scintille della sua scìa di sciamano. Pare che sia un Conte… (GO)
ANTRO-PROLOGO
Il bimbo ancora innocente nella sua incoscienza non ne conosceva le regole, solamente accolse nell'ingenuità la dorata profondità, meraviglia oscura, segreta e lucente. Esile, fragile, infantile creatura d'un tratto, in un lampo rapsodico e senza fine, si ritrovò a contenere in sè due abnormi creature. Creature eccessive, creature lontane, e pur speculari tra loro. Da una parte il magma sanguinolento d'energia ancestrale e pulsionale all'inverosimile. Dall'altra, l'essenza pneumatica e alata, visionaria e alchimista, che bramava vette oniriche spropositate. Sangue e miele. Terra e cielo. Scissi e vivi. In lui. Il Sogno e l'Abisso scorrevano ora nel suo sangue, come linfa inoculata, una magica notte costellata d'eclisse. Il gioco era finito o, forse, stava solo iniziando.
C'era una volta, in un tempo dimenticato ma pulsante, un bimbo meraviglioso. La purezza emanava dai suoi contorni un effluvio di candide stelle e di riflessi dorati. Giocava con l'invisibile e tutto era eccelso alla sua visione. La luce lo pervadeva in tutte le sue molecole e lo splendore ammantava la realtà attorno a lui. I giorni si susseguivano schivando il tempo in istanti protesi verso eternità reali e vivide. Respirava melodie danzanti il nostro pargolo sorridente. Gli abbracci che riceveva lautamente lo riempivano di gioioso e famigliare calore, fino a farlo sudare, eccitato d'emozioni protomistiche. I soli si specchiavano in lui, prodighi, superbi, e le nubi s'allontanavano impaurite forse accecate da tale purezza. La terra era calda e accoglieva il suo regale passaggio. Il Destino sembrava qualcosa d'irreale e lontano o, chissà, non sembrava affatto, mentre il vento donava profumi magnetici di essenza materna. Nessuno ricorda quanto accadde. Confusione regnava nei cieli tempestosi e la terra iniziò improvvisamente ad ansimare. Abissi di temerarie nubi squarciarono la volta celeste e dapprincipio il caotico vaporoso mescolarsi esprimeva solamente un'eccezionalità di rara bellezza. A bocca aperta il bambino veniva rapito dall'inconsueto scenario sovrastante. Stupore e brillio costellavano il suo sguardo. L'oscurità non era altro che mancanza di luce. Bubbolii minacciosi stroncavano il silenzio idilliaco della primavera. Improvviso un lampo funesto spalancò l'orrore… Non erano fulmini le sonanti catene dorate che, come pioggia temporalesca, iniziarono a cadere dal cielo. Che gioco mai era questo? Il bambino non lo conosceva, ma capì tosto, senza comprendere, che queste catene stavano scendendo vorticosamente proprio per lui. Cercò di ripararsi con le braccia, invano. I colpi venivano inferti senza posa, irregolari e impietosi. Gridava il bambino con quanto fiato aveva in gola e le lacrime, adamantine e salmastre rigavano il suo pallido volto, terminando la loro discesa nelle fauci della terra assetata. Sudava il suo corpicino tremante, d'un sudore pregno di vita. Il terreno sotto i suoi piedi s'agitava e sembrava quasi ribollire. Un magma di fango incandescente crepitava sotto di lui. D'improvviso il suo sguardo cadde sull'abisso che paradossalmente lo sosteneva. Dalla melma mefitica d'energia ctonia uscì dunque un essere mostruoso dagli occhi fiammeggianti; lentamente s'inerpicava su di lui e finalmente arrivò dove risiedeva l'oggetto della sua brama: il cuore innocente che iniziava a sanguinare. Avido, il rettile, di un rettile, certo, di questo si trattava, succhiava questo nettare partorito dalla notte… Nettare degli dei, Sacro Graal, Sangue di Cristo… Nella misura in cui l'organo cardiaco perdeva il suo santo fluido, l'anaconda, questo era il rettile, aumentava a vista d'occhio la sua mole, mentre il nostro eroe non aveva più lacrime da elargire alla Madre Terra, né fiato in gola per gridare al cielo la sua disperazione. Chiuse li occhi lentamente, s'abbandonò all'abisso che lo stava inghiottendo. Si sentì leggero, pervaso da una strana libertà. Rosso silenzio aleggiava attorno al dissolversi trasparente della sua identità. L'orologio invisibile del Destino suonò la Mezzanotte e il bambino, come ridestandosi da un incubo feroce, trovò il coraggio di aprire gli occhi… Il sole del Mezzogiorno dardeggiava incontrastato, l'aria cristallina era assaltata dolcemente da aromi familiari… La realtà iniziò a danzare, al ritmo del Vento, intorno e dentro alla sua natura. Si sentì per un attimo sfumare dall'emozione, si sentì traboccare nell'immensità inesprimibile. Accelerato il respiro, a stento conteneva l'orgasmo del suo Spirito. Cosa fosse accaduto in questo squarcio notturno restava per il momento avvolto in un inquietante mistero. Un brutto sogno? Un'allucinazione terribile ma evanescente? Qualsiasi cosa vi fosse all'origine non sfiorava l'incontenibile gioia del bambino e la sua esaltazione fecondava ogni istante rendendolo incantato. Il suolo era ora un manto lucente. Fiori di tersi colori in corolle e file scrutavano le ferite che fendevano la terra. Tremava rigoglioso il cuoricino impavido, mentre gocce di miele rigavano il suo petto a suggello e cura della piaga mai sanata o immaginata. Il Sogno aveva vinto l'Oscurità e l'Impossibile poteva librarsi e brillare supremo nel cielo fiorito. L'Energia l'aveva invaso teneramente: i suoi contorni sfumavano ondeggianti come lingue di fuoco che bramavano il confondersi nello spazio che lo circondava. Dov'era il suo corpo? Scomparso. Per alcuni istanti dionisiaci. Scomparso per liberare essenze eteree ribollenti d'una emozione estatica. La bellezza conquistò la sua visione. Nacque in lui una potenza sconosciuta, ignoto canto dal profumo di miele e di stelle.
Fotogrammi dal cortometraggio "21-12" (regia di Daniel Bertacche, 2011).
Poesia di Giacomo Ghellini, "Dentro di Me", Quinto Sol, Universidad del Valle de Guadiana, 2008.
Gellio Ghellini, ritratto su legno, 1700 circa (photo by Davide Masin).
Giacomo Ghellini punk, with his sisters and cousins (photo by Claudio Rinaldi).
Giacomo Ghellini, with his cousin at Morocco (photo by Camel).
1.
PURIFICAZIONE COLOMBIA (2005)
È il mio primo viaggio e sono alla ricerca dell'Amore per la Vita. Dopo un anno alquanto buio (2004), in cui il senso delle cose si è eclissato paurosamente, è nata in me la necessità di partire. Nel mio cuore non c'è un barlume di sentimento, mi sono isolato. Gli altri esseri umani mi terrorizzano. Mi osservo allo specchio e mi ritraggo ferocemente disgustato. Voglio cambiare a tutti i costi. Non ho la minima idea di come fare. Il viaggio è l'ultima carta a mia disposizione. Le coincidenze vogliono che fosse la terra colombiana ad accogliermi nel suo grembo materno. Arrivo nella città di Monteria e aiuto un missionario italiano in un quartiere di 'desplazados'. Non conosco ancora la lingua ma cerco di aprirmi alle persone, cerco di essere solidale, di aiutare, di amare. Non mi riesce per nulla naturale ma cerco di sforzarmi. Qualcosa inizia a muoversi all'interno della mia anima. Dopo un mese sento di dovermene andare; la convivenza con il missionario s'è fatta tesa. Trovo il coraggio di ribellarmi e giungo dunque a Medellin. Inseguo i segni che costellano il mio girovagare. Conosco un medico missionario colombiano che si offre gentilmente di accompagnarmi in una comunità apostolica laica sulle montagne nella regione del Valle del Cauca. Lavoro nella raccolta della canna da zucchero, collaboro alla produzione della 'panela' (zucchero di canna grezzo) e mi cimento in altre attività di raccolta. Le persone con cui condivido le mie dure giornate sono ospitali, solari, umili e mi amano come un figlio. Sento calore, stima, affetto. Capisco finalmente che non mi trovo in Colombia per dare il mio contributo, ma, al contrario, per essere aiutato. La carità che ricevo meravigliosamente purifica la mia anima. La fiamma ritorna a brillare. Il mio cuore si apre finalmente alla Vita.
Sudamerican tobacco.
Pagina di Diario originale di Ghellini (Mexico, 2007).
2.
AZUL DURANGO (2006-2007)
Approdo invasato d'esaltazione nella desertica Durango, nel cuore assolato e cocente del Messico. Perennemente dominata da un cielo immenso e vertiginoso, è la città dei temibili scorpioni gialli, los alacranes, celebre scenario cinematografico del film “El Topo” di Alejandro Jodorowski. Lavoro in una università privata come professore di Lingua e Letteratura Italiana, l'ambiente accademico è alternativo e stimolante, le giornate passano rapide e intense.
Sono alla ricerca frenetica di rivelazioni definitive ed epocali. Incontro veggenti, cartomanti, brujas e psicologi del profondo. Scavo vorace nella mia anima e rinvengo tasselli misteriosi, riflessi chiaroscuri, ricordi confusi e percezioni polimorfe. Riesco ad emozionarmi, a deprimermi e a esaltarmi con gran facilità. Colleziono esperienze forti ed amicizie folli. Durante il giorno cammino per ore e ore, da un estremo all'altro della città. Corre voce che esista un mio gemello. Trovo una miriade di monetine per la strada, le raccolgo e le custodisco in una piccola bisaccia. Dice una leggenda popolare che sia un segno di buona sorte. Ne sono convinto. La notte ha un sapore misticheggiante e talvolta surreale. M'immergo nella vita messicana, mi trovo a mio agio nell'intensità sentimentale di questo paese. L'ospitalità è onniavvolgente: “mi casa es tu casa” è il benvenuto sorridente che sovente ricevo. Un giorno per fare uno scherzo mi presento a casa di uno studente con le valige. Tuttavia la vita in città è strana per me, abituato al verde collinare e selvatico; il clima secco dissolve qualsiasi odore naturale, i profumi s'infrangono sotto il sole rovente. Mi mancano l'umidità della terra, le salite e le discese, l'orizzonte ostacolato dalle montagne. Mi manca la primavera. Il deserto alimenta la mia nostalgia e spesso non mi rimane che tuffarmi nell'infinità del cielo per trovare un conforto. Il cielo. Subito prima dell'alba e poco dopo il crepuscolo assume una tonalità cromatica unica ed indescrivibile: Azul Durango. Azul Durango è orgogliosamente chiamata dagli anziani del posto. Una voce dolce e perentoria s'insinua in me e mi sussurra di non innamorarmi.
Giacomo Ghellini, in Villa Ghellini (photo by Roberto Zanini).
Copertina, "Antologia della Letteratura Italiana".
3.
L'UOMO È CIÒ CHE MANGIA
La mia filosofia dell'alimentazione può sembrare certo stravagante ma ha le sue precise motivazioni spirituali e poetiche. Non mangio nessun tipo di animale e, seguendo il prezioso consiglio di un caro vecchietto messicano, faccio molta attenzione a tutto ciò in cui l'uomo ha messo mano. «Cuidado con lo que hace el hombre, hijo!» mi gridava questo simpatico fruttivendolo dagli occhi spiritati. Tutto è cominciato da una frase letta per caso in un libro di filosofia indiana, in cui era esposta la sorprendente teoria secondo la quale qualsiasi cibo apporta energia e nutrimento nella misura in cui è stato fatto con amore. Riflettendo dunque riguardo alla forma d'amore più elevata in questa terra, giunsi alla conclusione che fosse l'Amore Materno. Da qui la scelta di mangiare solo i frutti della Madre Terra, considerandoli come pregni del suo immenso amore. Coerentemente a ciò consumo grandi quantità di latte, interpretandolo magicamente come nettare materno. Ho un rapporto sacro e sentimentale con il cibo che introduco nel mio corpo; un giorno un'amica anoressica mi chiese con curiosità che relazione avessi con il cibo, considerando che sono snello e vorace al contempo. La risposta venne da sé. «Un rapporto erotico, d'unione. Il cibo è Energia che entra in me per fecondarmi, s'immola all'interno del mio organismo per donarmi Vita». Mangio qualsiasi tipo di vegetale commestibile e, durante i miei viaggi sudamericani, sono stato davvero affascinato dalla varietà multicolore e poliforme di frutta e verdura che ho incontrato. I frutti che preferisco son l'uva, i fichi e le mandorle, ma quello a cui sono più legato è certamente il kaki, importato dal Giappone nel dopoguerra in quanto unico frutto in grado di maturare d'inverno, apportatore di essenziali vitamine nei rigidi inverni delle comunità contadine venete. Simbolo solare, il kaki raggiunge la sua completa maturazione e il suo regale splendore quando la temperatura scende sotto lo zero. Sono oltremodo riconoscente a questo sacro frutto, base essenziale del mio sostentamento nei glaciali mesi invernali. Adoro inoltre nutrirmi di erbe selvatiche che raccolgo nei boschi e nei prati durante le mie interminabili passeggiate: ho un debole per tutto ciò che non ha coltivato l'uomo e percepisco le piante selvatiche come esseri puri dispensatori di Autenticità, il cui seme originario si perde nella notte dei tempi. Non solo di materia tuttavia sono ghiotto: amo incorporare grandi quantità di energia solare, faccio luculliane scorpacciate d'ossigeno durante le mie corse saettanti e assaporo il calore che scaturisce magicamente dall'incontro con persone autentiche.
Giacomo Ghellini, Veneto country (photo by Igor Brunello).
4.
IL RICHIAMO DELLA NATURA
Pachamama grida silenziosamente all'interno del mio cuore: “Sii fedele alla terra”. È una chiamata. Una vocazione. Un destino. Forse nemmeno la melodia più dolce e celestiele può rendere il senso immenso di ciò che la Natura ispira in me. Le parole sono di certo insufficienti per esprimere questo rapporto così intensamente emozionale, così profondamente vitale. “La salvezza è nel bosco” diceva saggiamente il dio greco della medicina Asclepio. La Natura nutre il mio spirito, mi avvolge con il suo splendore adamantino, mi purifica. Sento una connessione metafisica con ogni elemento naturale. La Natura è la mia Casa, il mio Regno. Amo tutto di Lei, il suo corpo e la sua anima, le luci e le ombre, il caos e l'armonia. Amo la sua bontà e la sua violenza. La Natura è la Mdre Generatrice, l'inesauribile centro di forza emanativa, dilatatrice e armonizzatrice. È il trampolino magico verso l'Infinito. Amo sentire la terra umida abbracciare il mio corpo. Mi eccita essere baciato dal Sole, essere sferzato dal vento e dalla tempesta, essere irrorato dal riflesso delle stelle. Pachamama mi protegge materna. Mi dona semplicità ed entusiasmo. Espande la mia anima. È lo specchio in cui voglio riflettere la mia essenza, l'Abisso in cui vorticosamente voglio ascendere.
Giacomo Ghellini, Veneto forest (photo by Lucio Ghellini).
Occhio Verde, Veneto Country (photo by Giacomo Ghellini).
Espiritu en la selva (photo by Giacomo Ghellini).
Giacomo Ghellini, at Monte Pian in Veneto (photo by Igor Brunello).
Giacomo Ghellini, landscape in Scotland (photo by Simone Poletto).
Giacomo Ghellini, in Villa Ghellini garden (photo by Igor Brunello).
5.
FUGA IN PERÙ (MIGRAZIONE)
È un momento in cui non so cosa voglio, ma so cosa non voglio. L'estate sta volgendo al suo epilogo. Ho una fidanzata del mio paese. “Donne e buoi dai paesi tuoi” dice un proverbio popolare padano. Che volgarità inaudita! Decido di partire per il Perù, impaurito e disgustato dalla stagnante stabilità che si profila al mio orizzonte. Parto da Milano all'equinozio d'autunno (nell'emisfero boreale) e arrivo a Lima all'equinozio di primavera (nell'emisfero australe). Una vera e propria migrazione. Vivo due mesi ad Arequipa insegnando italiano in un collegio. Rivedo con terrore i fantasmi della stabilità sedentaria e mi lancio dunque in un viaggio zingaresco che mi conduce tra le splendenti rovine incas, sulle fluttuanti isole del Lago Titicaca, attraverso l'infuocato deserto di Huarmey, sulla maestosa Cordillera Blanca andina. Nutro il mio sguardo di Bellezza. Non cerco altro. La Natura mi avvolge e mi protegge nel suo respiro incantato. Dopo 6 mesi ritorno rinnovato nella mia terra, il giorno dell'equinozio di primavera.
Giacomo Ghellini, at Macchu Pichu, Perù (foto by Matteo De Franceschi).
6.
INCONTRO CON IL DIOS PEYOTL
Mi trovo a Querétaro, a nord della mostruosa Città del Messico. Sto freneticamente cercando lavoro come insegnante di italiano. Non trovo nessuna collocazione. Grazie a Dio. Mi chiedo se io non sia in Messico per altri motivi. Percorrendo in lungo e in largo la città conosco casualmente un giovane stregone, appassionato di rune e 'brujerias' varie, il quale diviene immediatamente mio grande amico. Mi parla del peyote, il sacro cactus utilizzato dalle popolazioni indigene messicane nei loro rituali cerimoniali. La mia attenzione è catturata. Faccio delle ricerche in alcune biblioteche. Divoro lo splendido “Las enseñanzas de Don Juan” di Carlos Castaneda. Mi colpisce soprattutto la prefazione di Octavio Paz, in cui si afferma che il peyote non è una droga se viene consumato all'interno di uno spazio sacro. Esso è un mezzo, un trampolino misterioso per raggiungere zone remote ed immense all'interno della nostra anima. Non sei tu a trovare il peyote. È il peyote a trovarti. Senza pensarci due volte parto alla volta del deserto, nella regione di San Luis Potosi. Ho una piccola tenda per accampare, qualche buon pesos e alcuni stracci di ricambio. Cambio quattro bus prima di giungere allo sperduto paesetto di Wadley, dopo il quale si staglia il meraviglioso deserto dorato. Cammino per ore sotto il sole accecante, portando con me una tanica d'acqua. Il peyote mi scova. Raccolgo della legna alquanto secca per alimentare il fuoco che terrà lontani i temibili coyotes. Il tramonto intarsia l'orizzonte mentre m'inoltro temerariamente nella mia anima. Comprendo perfettamente perché mi trovo in questo deserto. La Necessità non si distingue dal Destino mentre una stupefacente libertà si fa largo dentro di me. Contemplo il fuoco. È magnetico. Misterioso. Tuttavia decide di premiare la mia arditezza rivelandomi qualcosa di essenziale. Mi racconta la mia vita, con altre parole, sotto una luce inimmaginabile. Emozione mistica. Comprendo che non ho cercato nessuna delle meraviglie che ho incontrato durante il mio cammino nell'esistenza. Mi hanno semplicemente trovato. Mi assalta improvvisa e s'innesta delicatamente in me una nuova e fino a quel momento impensabile modalità percettiva, che dissolve qualsiasi brama mendicante e che dispone il mio animo all'Apertura, alla Ricettività, alla possibilità regale di farmi trovare quando la Vita mi cerca.
Giacomo Ghellini, at Villa Ghellini Fire (photo by Igor Brunello).
Giacomo Ghellini, at Villa Ghellini set movie (photo by Lucio Ghellini).
7.
CORRENDO (“MIS PIES SON UN PAR DE ALAS”)
Correre è la mia attività spirituale prediletta. Corro tutti i giorni, anche 2 o 3 ore. È per me un'azione liberatoria, simbolica e psicomagica, una passione profonda, una questione d'igiene mentale e fisica. Osservo i pensieri correre nella mia mente, non ne trattengo alcuno e li lascio fluire finché non si stancano. È il mio modo di viaggiare quando le circostanze mi trattengono forzatamente ad un periodo di vita sedentaria. Correndo volo, mi libro, m'inerpico pindaricamente, mantenendo tuttavia un contatto vivo con il terreno che solco impetuoso. Correndo sento il Cielo e la Terra abbracciarmi furiosamente. Non ho orari per correre, anche se prediligo le temperature torride. Quando le persone attorno a me si lamentano per l'insopportabilità dell'afa in certune giornate estive, io parto a galoppo a petto nudo, ammaliato dai raggi solari e dall'umidità soffocante. Mi piace sentire il mio corpo imperlarsi di sudore, sentire un fuoco vitale scorrere nelle mie viscere. Amo tutto mentre corro. Conquisto lo spazio, assalto l'istante, ascolto il ritmo accelerato del mio respiro. Tutto ciò è molto sensuale. Un impeto incandescente m'assale quotidianamente e mi spinge a sfrecciare nei boschi, nelle verdi vallate, sulle colline, sugli altipiani. Le mie corse seguono sempre una traiettoria circolare; circuiti di certo irregolari, in cui l'esplorazione itinerante ha come implicita meta il Ritorno. Cerco e trovo puntualmente un'adesione magmatica al Fluido Divenire Presente. La mia visione si fa gradualmente più nitida, sento che il mio sguardo si espande vertiginosamente. Quando piove a dirotto, la magia cambia tonalità e diviene spiccatamente mistica: il ticchettio costante converge in un mantra celestiale metalinguistico e uno scrosciante silenzio m'avvolge, interrotto solamente dal fragore improvviso dei tuoni. Il respiro della natura rapisce il mio procedere… Non voglio fermarmi…
Giacomo Ghellini, in the green way (photo by Roberto Zanini).
Giacomo Ghellini, with multietnic team at Schio, Veneto (foto by Victor Cardenas).
8.
LA TELA BIANCA
La storia ha dunque inizio. Il Presente si protende. L'Intensità è e sarà il centro propulsore e la festante colonna sonora del mio agire emozionato. Una moltitudine fatata di sogni, progetti ed idee nuove ribolle follemente in me senza peraltro evaporare. Il funambolismo Acrobatico è una cometa in perenne caduta nella Galassia che sento brillare ad ogni pulsazione del mio cuore. La Vita non ha mai mostrato un volto così ammaliante. A tratti sento quasi la difficoltà a sopportare una felicità di queste abnormi dimensioni. Sento il fiatone, come da bambino quando aspettavo qualche evento speciale. Un brivido colonizza il mio corpo ormai dimentico di sé e totalmente abbandonato a quest'estasi puramente terrestre e divinamente sensibile. Sensazioni tattili invisibili percorrono improvvise la mia spina dorsale dal centro e raggiungono simultaneamente le due estremità. Non comprendo se il calore infuocato che sento espandersi sulle mie guance sia l'effetto di un sanguigno afflusso interno o la magica conseguenza di una potenza spirituale esterna. Vorrei piangere e ridere. Naufrago in questa immensità che m'inonda. La mia esaltazione è direttamente proporzionale allo scorrere del tempo e inversamente proporzionale alla distanza che mi separa dalla mia innamorata. Ingrid. Sulla tela bianca fiorisce un volto. Il volto dell'Amore. La romantica dinamica lontananza-avvicinamento è essenziale alla creazione di questo Sentimento Fantastico e, consapevole di ciò, vivo questo stato esistenziale di Grazia in un tripudio dionisiaco. Sento con emozione che si affaccia una Rivoluzione Interiore senza precedenti nella mia breve storia. A tratti in passato l'Assoluto Indifferenziato riuscì a raggiungermi, a conquistarmi per barlumi meravigliosi quanto effimeri, destinati ad annegare nel fiume Lete assieme ai suoi supremi ed arcani segreti. Ora questa notte è ormai tramontata. Io stesso non conosco l'Immensità di questo inaudito tesoro e, nonostante ciò, esso dimora proprio qui al mio interno. Come un violento terremoto, l'Amore ha risvegliato il mio Daimon. Il dio Pan è risorto. Ingrid la mia Dea.
Giacomo Ghellini, with Ingrid Barahona (Bogotà, 2011).
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