Copertina di Cestaro © Bonelli
BUONGIORNO TENEBRA
Testi: Barbara Baraldi e Andrea Cavaletto
Disegni: Nicola Mari
Quale oscuro segreto cela la tetra villa dei Nicholson? Quali drammatici eventi hanno funestato le vite dei suoi abitanti in passato? Dylan, risucchiato dalla casa come fosse una bolla temporale, deve riuscire a districarsi dalle mortali spire di una femme fatale d’altri tempi.
FRANCO BUSATTA – Apriamo svelando che la soluzione dell’anagram-
ma di copertina “Brillante, Dylan Dog! – U. Eco” (dovuto nientemeno
che a Stefano Bartezzaghi) è “Indagatore dell’Incubo” (y = i). A tal
proposito, senti cosa scrivevi sul creatore di Dylan, Graziano, nell’in-
troduzione del volume “Tiziano Sclavi – Una carriera in Horror” pub-
blicato nel 1994 da Tornado Press: “La sua passione per l’enigmistica,
dove non si sfugge all’incubo delle caselle, è nota in tutto l’Occidente;
un rebus o un loculo fabbricano la stessa paura”.
GRAZIANO ORIGA – Sì, Franco, Tiziano argentato ha iniziato pro-
prio così, come dire, dalle parole crociate della “Settimana Enigmi-
stica” (1932) a “Sepolto vivo” di Roger Corman (1962) fino a Dylan
(2022): il 2 finale è l’esito della trama.
FB – Ah, siamo già nel 2022? Come passa il tempo quando ce la si
spassa, no, Nicola? Bentornato, rieccoti in coppia con Barbara Ba-
raldi.
NICOLA MARI – Barbara e io veniamo da quella che un grande Giovan-
ni Lindo Ferretti definì “Emilia paranoica”.
BARBARA BARALDI – Abbiamo sensibilità artistiche ed emotive affini.
Lavorare con Nicola è come partecipare alla trasformazione alchem-
ica di parole in emozioni allo stato puro.
FB – Graziano, facciamo che siamo ancora negli anni Ottanta e che
stai preparando – dopo il n. 17 – un nuovo numero della tua rivista cult
“Punk Artist”. Devi assolutamente dedicare la copertina alla super
glamour BB, Barbara Baraldi, in coppia con Nicola che, in quanto a
chic, non è secondo a nessuno.
GO – “Punk Artist” n. 18, cover retinata letraset, ok, aggiudicata a
Barbara e alla “Stagione dei ragni”, certo, in coppia con Sir Mari,
occhi persi nel buio tagliente, entrambi nella casa bianca, con sfondo
ridotto all’osso, forse anche annullato.
NM – Molta musica, fumetti e altre espressioni che su di me esercita-
vano una particolare fascinazione, erano connessi e determinati dalla
personalità di Graziano, prima ancora che ci incontrassimo di perso-
na. lui è parte della mia educazione sentimentale.
GO – Ci consideriamo fratelli di desiderio. Nicola è per me un altro
mio uomo caduto sulla Terra, sospinto dal tenebroso vento di ghiaccio
e dal fuoco nero. Lui è tribale, balla il fado, non ti taglia mai fuori,
ma dentro, con il bisturi dell’emozione. Un terapeuta del disegno. Un
Monte.
FB – “Hello darkness my old friend”: “Il laureato” fa da struttura por-
tante di “Buongiorno tenebra”.
BB – È un film perfetto, sul significato di desiderio come forza propul-
siva dell’essere umano.
FB – Al centro di entrambe le storie di questo Oldboy ci sono distur-
banti relazioni famigliari…
BB – Le persone più vicine a noi sono quelle che possono farci più
bene… o più male. Ci possono elevare o farci precipitare nell’abisso.
È un inesauribile campo di indagine.
FB – Insomma, parenti-serpenti?
Tavola di Nicola Mari © Bonelli
nicola mari & graziano origa (foto joe zattere)
GLI ORRORI DI DUNWICH
Testi: Andrea Cavaletto Disegni: Roberto Rinaldi
L’Old Boy viene ingaggiato per indagare nel paesino di Dunwich, nel Suffolk dove avrà a che fare con tre donne agli antipodi tra loro, una serie di rapporti famigliari disfunzionalissimi e una terribile vicenda in cui amore e orrore vanno di pari passo.
FRANCO BUSATTA – Ne “Gli orrori di Dunwich”, ci ho visto l’Almodòvar de
“La pelle che abito”, proveniente dal romanzo “Tarantola” di Thierry Jonquet.
ANDREA CAVALLETTO – Sì, ho amato entrambi. La pelle, così elastica
eppure così resistente, un involucro che separa (protegge?) l’interno del
nostro corpo dall’esterno, come uno scudo. La pelle, che divide due mondi.
Come la superficie del mare, altro elemento fondamentale di una storia
che viaggia sempre su due piani diversi, indagando principalmente sul
binomio maschile/femminile. Ecco, ho voluto provare a immaginare cosa
succede quando tutto si lacera: la carne, la psiche, l’anima, la famiglia.
FB – Lovecraft che c’entra?
AC –“Gli orrori di Dunwich” vuole essere un horror lovecraftiano moderno,
con influenze di Ramsey Campbell e di Thomas Ligotti, per guardare con
voyeurismo weird dentro ciascuno di noi e dentro il nostro Dylan, in un
funambolico (dis)equilibrio tra colpe di padri e figli.
FB – Quest’albo è un tripudio di letali femme fatale, Graziano. Sembra
che la mamma delle femme fatale sia sempre incinta.
GRAZIANO ORIGA – Mannaggia, più son maliose, seducenti e impenitenti,
più uccidono. Ma, Franco caro, non si potrebbe avere il numero di telefono
della mamma semper gravida?
FB – “Never Trust a Pretty Face”, per dirla con Amanda Lear. Andrea,
splatter sfrenato, qui…
AC – Sì, ma non gratuito. Roberto ha saputo interpretare appieno il mood
cupo, depressivo e oscuro della storia, che mi è stato suggerito dal brano
“Dunwich Beach, Autumn, 1960” di Brian Eno. L’ho fatto ascoltare anche
a lui, uno dei miei disegnatori preferiti della serie.
ROBERTO RINALDI – Mi sono buttato dentro un “mare” di sensazioni che
hanno suggerito un dettaglio dietro l’altro… e così ho finito per viverci
dentro anch’io. Il mare, la cupezza e la desolazione del paesaggio di
Dunwich, sono stati uno scenario perfetto per scivolare nel misterioso
maniero degli Hamilton e nella casa di Mary, come se esistessero davvero.
FB – Cos’è stato più complesso da disegnare?
RR – La difficoltà più grande è stata quella forse meno apparente per chi
legge e cioè quella di disegnare in alcune tavole un singolo personaggio,
visto frontalmente sempre uguale, che parla per nove vignette, cercando
di farlo recitare con espressioni sempre diverse.
FB – Finiranno quegli anni Ottanta a cui fanno sostanzialmente riferimento
le storie dell’Oldboy, Graziano? Non è che resteremo imprigionati in
questo decennio, continuando ad ascoltare “Psycho Killer” dei Talking
Heads e “O Superman” di Laurie Anderson in eterno?
GO – No, non finiranno, né i ’70, né gli ‘80. Siamo incatenati per sempre.
Perfino, pensa, a “Tarzan Boy” dei Baltimora! Siamo incatenati a Billy Idol,
Depeche Mode, Spandau Ballet. La via d’uscita è una porta che conduce
verso il tormento, verso Amanda Lear.
FB – A proposito di Amanda, non sarebbe stata perfetta per impersonare il
personaggio di Paula Hamilton nelle pagine che seguono, Andrea? Strano
che lei non abbia mai lavorato con Almodòvar, tra l’altro… Ce l’avrei
vista… Come il Miguel Bosè travestito che canta Mina in “Tacchi a spillo”.
AC – Cavolo! Ad averci pensato, Amanda sarebbe stata una reference
formidabile! Bosè “en travesti” che imita Mina? Stracult!!!